Gli “influencer dell’antimafia” non fanno male alla mafia

  • La mafia, in tempi di pace, se non la cerchi non la trovi. È difficile raccontarla quando non spara, quando non si manifesta con la violenza delle armi, le bombe, il sangue. Per il giornalismo è difficile farla diventare reportage, inchiesta, anche solo resoconto quotidiano.
  • È un copia e incolla permanente di richieste di custodia cautelare spacciate come scoop, retroscena esclusivi che sono veline. I mafiosi con il “bollo”, il timbro della giustizia, per fortuna non godono più di buona reputazione. Perché perdenti.
  • Meglio occuparsi della mafia del muro basso, la mafia nota. Che non querela, non cita per danni, abituata ai titoloni e alle urla. Le urla, un altro capitolo del giornalismo 2.0 o 3.0. Quelle degli “influencer dell’antimafia”, retorica a fiumi e una tempesta di “like” per i pensierini a ogni anniversario, con una sovrabbondanza di maiuscole su Facebook.

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Il secolo di Sciascia

Nell’“officina segreta” ogni cosa è al suo posto, come se lo scrittore dovesse tornare da un momento all’altro. Il paese dell’intellettuale, Racalmuto, è circondato da quelle che noi siciliani chiamiamo pirrere, miniere, pozzi che arrivavano sino a un inferno dal quale risaliva lo zolfo. A cento anni dalla sua nascita, l’8 gennaio 1921, Casa Sciascia non è un museo e non è monumento ma qualcosa di più in questa Regalpetra, luogo che esiste e non esiste, che “confina nell’immaginazione” con Racalmuto.